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Castel Terracena   freccia

Il Palazzo di Terracina fu costruito per volere di Roberto il Guiscardo dal 1076 al 1080. Sorgeva a ridosso delle mura orientali della città, sulla sommità di un’altura.

La scelta del luogo fu certamente dettata da esigenze di sicurezza militare, ma anche dalla presenza, nelle immediate vicinanze, della cattedrale, voluta dallo stesso Roberto per sancire l’accordo faticosamente raggiunto con il potere religioso e, nello stesso tempo, per erigere un fastoso monumento alla grandezza della nuova dinastia regnante.

Alla stessa esigenza era ispirata l’edificazione della reggia, simbolo del potere civile, che si poneva in contrapposizione, ma anche in continuità, sia sul piano politico che su quello formale, con la sfolgorante reggia che Arechi II aveva fatto erigere molti secoli prima in un altro luogo della città (Castello Arechi)

Il quartiere in cui fu edificata la reggia normanna, denominato Ortomagno, costituiva la nuova zona di espansione urbanistica in epoca normanna.

Ultimato nel 1086, il castello ebbe vita breve:  la residenza ufficiale a Salerno dura solo due secoli: dal 1076 al 1275. Nello stesso anno la città fu quasi distrutta da un terremoto che probabilmente distrusse anche il castrum Terracinae.

L’insula nella quale si può ancor oggi riconoscere il complesso, per quanto gravemente manomesso e deturpato dalle successive stratificazioni, è quella che, dall’attuale Museo Archeologico, per via San Benedetto e via San Michele, giunge alle absidi del Duomo, in via Genovesi, per poi prospettare su via dei Canapari e via Mario lannelli.

In questo complesso sono ancora chiaramente riconoscibili alcune case torri delle quali va sottolineata la parte decorata in tarsie di tufo giallo e grigio: le fasce policrome sottolineano e denunziano all’esterno l’andamento dei piani, segnano le basi delle finestre, vivificano nella massa muraria le aperture, quasi a raccordare e ad incidere il passaggio tra le superfici vuote e quelle piene.

Nella torre, che ancor oggi presenta le decorazioni a tarsia su due dei lati, si rinvengono vari motivi, e la classica sistemazione dell’arco entro il quale sono inseriti due archi minori che costituiscono la bifora.

I tufi sono gialli e grigi e tra ciascuno di essi è inserito un elemento in cotto che contribuisce all’effetto policromo totale. Nello spazio tra gli archetti della bifora e l’arco maggiore è inserita una robusta cornice in tufo grigio che racchiude una stella a sei punte. Sull’altro lato, solo parzialmente in vista poiché la parete continua entro una successiva costruzione, oltre a bifore e monofore sono realizzate ricchissime fasce decorative che raggiungono effetti di virtuosismo tecnico nel connettersi ed intrecciarsi dei singoli elementi.

Sino a qualche anno fa era ancora visibile la decorazione su una terza facciata appartenerne evidentemente ad un’altra torre oggi collegata alla prima da due cavalcavia.

Il festoso effetto cromatico è accentuato dall’uso, tipico nel XI-XII secolo in Campania di elementi ceramici a scopo ornamentale come i fondi di catini ceramici al centro dei rosoni.

La fascia verticale è formata da un motivo che potrebbe essere stato suggerito dal profilo di una alabarda ripetuto specularmente o, forse, da un elemento decorativo di origine moresca salvo che, come siamo propensi a credere, non si debba vedere in esso una interpretazione stilizzata del loto lanceolato di tradizione islamica.